Raggiungere via della Moscova, per un milanese, può significare dover fare una visita alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate o al principale Comando dei Carabinieri cittadino; d’altra parte fu Napoleone a denominare così la via, in ricordo di una battaglia vinta durante la Campagna di Russia grazie all’apporto delle truppe del regno italico. E’ una strada autorevole via Moscova, insomma. Noi di Milanomind, che amiamo le contraddizioni, ci andiamo invece per celebrare la dissacrazione.
La prima tappa è la Mediateca di Santa Teresa, la biblioteca digitale della città, che ospita l’installazione di Gufram. Conoscerete certamente il cactus appendiabiti o il divano pratone, dal design allegro e colorato ispirato alla Pop Art, e tutti gli altri pezzi d’arte di Gufram che sono esposti in permanente al MOMA, al Vitra, al Centre Pompidou. In mediateca Gufram ha fatto una operazione contraria alla sua filosofia storica portando in un ambiente totalmente buio “The End” uno sgabello a forma di lapide con cui la la Gufram ha sancito la sua uscita dal mondo dell’arredamento, la seduta con le fattezze di una mummia ed un mappamondo nero petrolio. Emozioni di dissolvenza, accentuate dalla instabilità della sabbia nera che ricopre il pavimento, che contrastano con la filosofia gioiosa del marchio. Cosa vuol dirci Gufram, che il design è morto e non può produrre più nulla di nuovo? Che il mondo che conosciamo non esiste più? Una bella provocazione per un Salone che tende ad essere vorace di stimoli, ma parco di riflessioni.
Ci spostiamo, sempre in mediateca, al bar allestito da Toilet Paper, la rivista di sole immagini curata da Maurizio Cattelan, e ci ritroviamo a camminare su un pavimento di spaghetti al pomodoro. Grazie proprio a Cattelan, che dice che l’interpretazione dell’arte concettuale sta esclusivamente nell’immaginazione di chi la guarda, ci siamo liberati dal timore reverenziale davanti all’espressione artistica moderna, e possiamo esprimere liberamente quel che sentiamo in questa passeggiata sulla pasta. Il cibo, nella società occidentale, ha perso la sua valenza primaria di nutrimento per diventare solo un rito da culto. Programmi in TV, gare di cucina, tutorial di impiattamento, peccato che non si veda mai qualcuno che mangi. Nel bar di Toilet Paper il cibo è rappresentato all’apice della ossessione estetica, a cui ci ribelliamo calpestandolo, ma al contempo ci sembra di stare su un campo di grano, origine primigenia del cibo che ci sostenta. Una doppia e contrastante lettura, insomma.
Più avanti rispetto alla mediateca c’è Post Design la galleria-marchio che ospita e produce la collezione della società Memphis. Fondata da Ettore Sottsass e dai designer suoi allievi nel 1980 la sua produzione povera e colorata, ottimista e speranzosa, povera e post punk, che collaborò alla caduta del buon gusto modernista e quindi fortemente innovativa è ormai diventata un classico. Anche questa una contraddizione dei nostri tempi?