Il dibattito è ormai acceso. C’è chi parla della nuova vocazione di Milano a capitale dell’eccellenza italiana, una narrazione post Expo fatta di grandi opere, grattacieli, cibo, turismo moda ed eventi e c’è chi sostiene, invece, che sia tutta apparenza, la corruzione non è stata debellata, la sanità non funziona, il centro è molto caro e le periferie degradate; la più cattiva è che Milano drenerebbe risorse da tutta Italia per non restituire nulla.
Scegliete voi a quale corrente di pensiero volete appartenere.
Milano evidentemente è cambiata, dopo lo tsunami di mani pulite e della crisi, ma l’occhio va sempre ai massimi sistemi e nessuno finora si è interrogato su cosa sia accaduto, in questi anni, ai milanesi. Se è la città a fare il milanese (perché qui autoctoni o forestieri marciamo tutti allo stesso ritmo, e l’elenco dei pregi e difetti ve lo risparmio perché è diventato macchietta) è pur sempre la somma dei milanesi a far girare la città, e quindi non credo di sbagliare se sposto l’analisi dai grattacieli alle persone.
E’ cambiato il milanese? Certamente. Si è adattato, come le razze migliori, per sopravvivere, ma anche per ritornare alla sua vocazione originaria, riprendere a produrre. E’ mutato geneticamente? No. Il milanese è sempre lo stesso, ed è questa la sua salvezza, tanto che qui Grillo non ha mai attecchito
Il milanese ha certamente ridotto i consumi, abbandonando senza rimpianti gli eccessi a cui si era lasciato andare, ma non si è chiuso in casa aspettando un destino migliore, perché sa che senza stimoli il cuore ed il cervello non funzionerebbero più. E per produrre, prima ancora delle mani, hai bisogno del coraggio.
Selezione è la parola d’ordine. Il milanese ha sacrificato tutto ciò che è inutile, superfluo, inessenziale e spende solo dopo aver vagliato, ponderato e confrontato. Il primo risultato è che a Milano si è alzata incredibilmente la qualità dei servizi. Dai ristoranti ai centri estetici, dalle palestre ai negozi, sopravvive solo chi non bara sull’offerta. Chi spaccia fuffa per verità ha chiuso, o se la passa malissimo.
Adattamento, come vi dicevo. Il milanese, senza rimpianti per il contratto a tempo indeterminato, che solo a cercarlo hai già perso tempo, sfrutta la libertà dai vincoli lavorativi per svolgere insieme più attività, solitamente una per il sostentamento immediato ed altre su cui investire per il futuro: abbiamo capito presto, forse prima degli altri, che un mondo è finito e non torna più.
Indipendenza quindi, anzitutto da chi vorrebbe decidere per te se e quanto puoi lavorare. Dove li svolge i diversi lavori? Ma in giro, ovviamente. Nei bar, nelle biblioteche, nelle soluzioni di coworking, negli uffici degli altri. Zainetto e Wi-Fi, se lavora da solo, oppure scooter e arriva. Ma quando ha finito va, che ha altri lavori da seguire. Non perde più tempo a chiacchierare intorno alla macchinetta del caffè, il milanese.
Apertura. Il milanese ha abolito, in parte, anche la spesa settimanale. Mangia per strada, paga poco e varia pure l’alimentazione, o se è con gli altri si fa portare il cibo a domicilio, che se l’ordine è alto la consegna non la senti nemmeno. Facendo i conti, ed i milanesi si che sanno fare i conti, risparmi tempo (che è denaro) e denaro (perché non sprechi mai il cibo): ci guadagni e mangi tutte le cucine del mondo, che comunque a casa tua non sapresti replicare.
Libertà. Il milanese ha tradotto la crisi in libertà di vestirsi come meglio crede. La città non può più chiedere gli abituali codici di abbigliamento per il lavoro e per il tempo libero perché l’abito per l’occasione è un lusso a cui si deve rinunciare. La conseguenza è che ciascuno si veste come meglio crede, come si sente più a suo agio e come vuole che la gente lo percepisca e, per assurdo, tutti sono vestiti meglio, con più gusto e personalità, soprattutto i ragazzi. Non esistono più i marchi, aspirazionali solo per i ragazzini della Paranza di Saviano, ma vale l’usato, anche dei genitori, e un solido paio di sneakers che regga l’intera stagione, perché più sono rovinate più dimostrano che hai vissuto.
Libertà dalla crisi vuol dire anche biciclette che sfrecciano, pedoni con il contapassi che tentano di superare il record del giorno prima, mezzi in condivisione. Non si è certo fermato, il milanese, ma non compra più la macchina, non spreca carburante, risparmia sulle multe ed inquina molto meno. In metro, talvolta, ti imbatti persino in gioielli e borse che ti vien voglia di tifare per il borsaiolo, tentato all’inverosimile. E’ piena di gente strana, Milano, ma non è poi così pericolosa come dicono, rispetto alle altre metropoli.
Cultura. Il milanese se non ha fuori una casa di famiglia, o non ha i soldi per arrivarci, il weekend resta in città. Ci sono ormai così tante cose da fare che il rimpianto del mare passa in fretta. Mostre, eventi, laboratori per bambini, festival nel parco, La scelta è difficile e spesso devi rinunciare a qualcosa. Ecco, lì spendono le famiglie milanesi. Li trovi tutti insieme, grandi e piccoli, nei “santuari” dove i bambini sono stati sdoganati e nessuno più li rimprovera se giocano tra l’arte e i pezzi antichi, la fotografia e le performance. L’ultimo Salone del Mobile sembrava organizzato per loro, così come la Triennale, bambini assorti si aggirano alla Fondazione Prada a guardare la TV anni 70 (chissà cosa gli sembra) e tutti insieme, come felici mine vaganti, si spostano con le loro biciclettine o il monopattino.
La famiglia. L’impressione è quella che la crisi abbia rinsaldato le famiglie. Genitori che stanno più in casa, ragazzi più giudiziosi perché comprendono le difficoltà dei genitori, meno grilli per la testa per tutti perché le separazioni sono bagni di sangue e poi, questo è un momento che necessita di certezza e solidità. Le coppie si cercano nuovi interessi per stare insieme, si compra un cane da portare a spasso se i figli sono cresciuti. Insomma, chi ha una famiglia se la coltiva, ci sono tanti brividi lì fuori che quelli amorosi li lasciamo volentieri ai ragazzi.
Insomma. Il milanese ha fatto di necessità virtù, e quindi se per un verso è cambiato radicalmente per l’altro è sempre lo stesso. Buon senso, tanto lavoro, ottimismo e fiducia nel futuro, culto della famiglia come piccola azienda da mandare avanti e cultura, che a Milano ha sempre fatto il paio con il progresso. Nessuna decrescita felice, questa è crescita, perché il milanese non si toglie nulla di quel che gli interessa davvero, ed è già pronto a far soldi più di prima. Bisogna solo avere la pazienza di ricostruire.
Prima di chiudere, voglio replicare all’accusa davvero ingiusta secondo cui i milanesi pensano solo a se stessi e si disinteressano del resto di Italia. Non è vero. Noi lavoriamo per Milano solo perché viviamo qui, a Milano, e vi do per certa una cosa: siamo un modello facilmente esportabile perché siamo gente semplice, noi milanesi