E’ in corso la Milano Photo Week – 5/11 giugno – cioè l’inaugurazione di 17 nuove mostre fotografiche che vanno ad inserirsi nel calendario già importante di Milano Photo Festival. Come al solito la selezione si impone, e il criterio a questo giro è quello di capire qual’è l’immagine che rimanda Milano a chi la cerca nello scatto di una fotografia.
Search sulla città, vengono fuori tre mostre. La prima è “Milano vista da un Tram” all’Urban Center Milano in Galleria, uno studio sociale per immagini della fotografa Marianna Quartuccio, volutamente in bianco e nero, si legge, per annullare le differenze tra i diversi tessuti della città e meglio esplorare il paesaggio antropomorfo, racconta facce di chi si muove in città e guarda con gli occhi di chi si sposta il paesaggio che gira intorno.
Bellissime immagini, per carità, ma io non mi ci riconosco più, in quella Milano. Forse perché c’è il sole e si avvicina l’estate, forse perché la fioritura in città è stata tropicale quest’anno, o perché la fotografa si avviliva tutto il giorno sui mezzi, ma la sua Milano non è la mia.
Grigia, cupa, opaca, mediata dalla sporcizia di un finestrino appannato, abbandonata a sé stessa; i volti dei passeggeri contratti, straniati, nessuno che sorrida se non una mamma alla sua bambina e una padrona al suo cane. Il resto è chiusura, persino tra i due ragazzi che si sfiorano nella calca. No, noi non siamo così.
I ragazzi sul tram si baciano e fanno casino, le signore anziane borbottano e gli stranieri fanno comunella. Certo, c’è la stanchezza della sera, ci sono i social da guardare, ma la tristezza ed il degrado umano e paesaggistico è un cliché che Milano farebbe bene a levarsi una volta e per tutte. I vecchi attori dicevano che è facile far piangere, ma è difficilissimo far ridere. Il colore c’è a Milano, basta volerlo guardare e saperlo rappresentare.
L’altra è “Obiettivo Milano” una meravigliosa retrospettiva della fotografa Maria Mulas a Palazzo Morando.
Ci sono tutti, come direbbe l’adolescente alla madre che non vuole farlo andare ad una festa, chi è passato da Milano e chi ci è vissuto, e tutti hanno contribuito a “fare” questa città, dall’arte al design, dalla moda all’editoria.
No, l’elenco dei personaggi immortalati non ve lo faccio, vi dico solo quali sono i ritratti che mi hanno più emozionato. Andy Warhol con i frati, Keith Haring, Ugo La Pietra anni 70, Mike Bongiorno con Pomodoro, Sottsass e Nanda Pivano seppur divisi per competenze, tutta la moda ma io adoro la moda, due giovanissimi Ornella Vanoni e Luca Ronconi, Leonardo Mondadori che ancora manca, Camilla Cederna con l’occhio puntuto e il capolavoro di Dario Fo, una immagine molto più bella vista attraverso l’obiettivo che ad occhio nudo. (Davvero, guardatela con l’iPhone e vedrete meglio la sovrapposizione tra lui e la cupola della Galleria.)
Qui invece lo straniamento ti viene, ripensando al passato. Milano di oggi e di domani sarà all’altezza di riprodurre almeno la metà di questa razza geniale, o ci dobbiamo accontentare della Selvaggia Lucarelli che scrive sul Fatto Quotidiano e Fedez che usa il palcoscenico come se fosse il tinello di casa sua?
Bellissima mostra, guardatela, ma è uno spaccato della città che era. Milano sarà di nuovo grande, certamente, ma quella cosa lì non c’è più, la globalizzazione lo ha ucciso, lo stupore.
Domani inaugura la terza mostra sulla città, “Milano dagli anni ’40 ai giorni nostri”, ci vado, magari capiamo meglio.
Fine prima parte