Oggi è una grande giornata per Milano.
Abbiamo finalmente la prova – anche se lo sospettavamo da tempo- che i nostri figli non sono una indistinta massa di soggetti aspirazionali alla sufficienza scolastica, ma che c’è qualcosa di obsoleto che ha provoca questo cortocircuito di mediocrità nei risultati dell’apprendimento, ed è il rigido criterio di valutazione che la scuola milanese applica agli alunni.
Salvo eccezioni, a Milano funziona che le scuole pubbliche (di tutti i generi e gradi) siano ben più severe delle private e che le cosiddette eccellenze liceali -ne abbiamo tante- oltre ad insegnare superbamente latino greco e matematica si siano assunte il compito di preparare i ragazzi ad affrontare con dimestichezza quel che li aspetta domani, volendo sopravvivere in questa città: la coltivazione e la manutenzione dello stress.
In una città dove lo Xanax è farmaco da banco, è diventata tradizione demolire sin dalla giovane età la psiche dei ragazzi affinché perpetuino attraverso la dura palestra della scuola la tradizione meneghina di ode alla vita stressante come motore unico della produttività.
Giudizi di valutazione al minimo, approfondimento universitario già al liceo, sbarramento alle attività di svago e sportive spesso nascoste ai professori, abolizione del concetto di “tempo morto”. Il tutto con la complicità dei genitori che vengono istruiti sin dalla scuola elementare, attraverso una terapia denominata “consiglio di classe”, a pretendere dai loro figli l’impossibile. Si alzi in piedi quel genitore che non si è sentito dire, nel corso della carriera scolastica del figlio, che i ragazzi sono capre maleducate incapaci di apprendere e stare composti davanti al corpo docente.
E durante la terapia del consiglio di classe salta immediatamente all’occhio lo spartiacque tra il genitore autoctono, che mortificato e confuso chiede scusa anche se suo figlio va benissimo e lo straniero, solitamente trapiantato terrone, che incendia con lo sguardo il corpo docente e già pensa a quale stratagemma ricorrere per salvare la prole dalla carneficina gratuita.
La novità, vi dicevo, è il Liceo Classico Beccaria che si è interrogato sulla ragione per cui dai licei milanesi esce solo una massa di mediocri e ha deciso di affrontare diversamente la questione. Sarà che l’istituzione scolastica si è sentita forte dell’autorevolezza derivantegli dal giurista e letterato cui la scuola è intitolata, sta di fatto che ha seguito la stessa metodologia critica del trattato “Dei delitti e delle pene” ed ha modificato i criteri di valutazione della prestazione scolastica, abbattendo anzitutto il tetto di cristallo della sufficienza, che fino a ieri superava solo una sparuta minoranza di super dotati, di intelligenza o ferrea volontà. Il risultato è che è allo scrutinio di fine anno, pubblicato oggi, sono tornate le medie dell’8 e del 9 e si è scoperto l’inganno: i ragazzi di Milano possono essere bravi senza essere geni assoluti.
Il problema della valutazione scolastica è ormai storico e lo scorso anno sono dovuti intervenire addirittura i Presidenti di Regione di fronte alla schiacciante disparità degli esiti dell’esame di maturità tra le scuole del Sud (se ricordo bene la Puglia in prima linea) e quelle del Nord.
Ora, il dibattito tra Nord e Sud non interessa più ai leghisti, figuriamoci al resto di noi, ma il problema di una valutazione dei ragazzi liceali di questa città che sia sensata ed omogenea rimane. Che poi l’omogeneità di giudizio non deve nemmeno restare circoscritta alla nostra cara Italia, perché l’ambizione di una formazione universitaria all’estero, coltivata dopo l’inglese alle elementari e l’anno di studi all’estero, viene regolarmente vanificata dalla media di voti triennale, insufficiente a superare la selezione per titoli. La conclusione è che i ragazzi milanesi non vengono nemmeno ammessi ai test universitari fuori dall’Italia, a fronte del gran culo che si sono tirati per cinque anni rispetto ai loro coetanei stranieri.
Attenzione, qui nessuno vuole tornare al 6 politico come ai bei tempi, anche se quella generazione tanto ignorante non doveva essere, visto che muove ancora le leve del potere, ma spogliare Milano da quell’etica pseudo calvinista di dolore sudore fatica e sofferenza per raggiungere il risultato, si.
Il mondo è cambiato ed i ragazzi, per competere, non hanno bisogno di nozioni quanto di credere fermamente in se stessi.
Che poi, a dirla tutta, questi ragazzi sono molto più capaci delle generazioni che li hanno preceduti. Sono diversamente capaci, ecco. Sanno fare più cose contemporaneamente, studiano parlano navigano allo stesso tempo, sono curiosi del mondo e lo cercano dentro Safari, You Tube e Instagram, viaggiano con poco denaro, non chiedono soldi perché conoscono la crisi, non sono massificati ma ciascuno è titolare di un pensiero autonomo, ma così autonomo che spesso sono isole anche tra di loro, fremono per andare via e poi tornano dicendo che l’Italia è il paese dove si vive meglio.
Diamo un pò di fiducia a questi ragazzi, apprezziamoli e gratifichiamoli per le loro qualità senza cercare con accanimento il loro lato debole. Giudichiamoli a tutto tondo, trattiamoli bene e soprattutto insegniamo loro che è la cultura italiana che li porterà lontano a competere e vincere. E quindi, cambiamo anzitutto metodologia di insegnamento e valutazione, non per essere più accondiscendenti, ma perché è tarata sulle generazioni precedenti, ed è diventata obsoleta. Non è punendo il suo futuro che Milano perpetuerà la sua tradizione di eccellenza.