Tempo di libri, quest’anno, ha funzionato alla grande.
Coraggiosi ad aver sostituito la precedente gestione, davvero fallimentare, con la direzione di Andrea Kerbaker che senza spocchia ed intellettualismi ha aperto anche ai giovani YouTuber scrittori, ai divi della TV ma ha organizzato anche i Percorsi d’autore, itinerari a tema tra i libri, per i visitatori, con gli autori in veste di guide ed i reading liberi di poesia, nella migliore tradizione anglosassone, un cui gli ospiti erano liberi di portare versi editi o inediti. Pienone di ragazzi.
E poi giornate a tema, begli incontri con gli autori, grande spazio mattutino alle scuole. Eccellente.
Nell’aria aleggia però la competizione con il Salone di Torino: come sapete, la fiera del libro era fino a due anni fa monopolio torinese, finché Milano lo scorso anno ha voluto la sua e bene ha fatto – no non siamo voraci, siamo solo la capitale dell’editoria- ma i mugugni delle case editrici continuano, perché sostengono di non riuscire, economicamente, a star dietro ad entrambi ed a fine manifestazione si è alzato un nuovo lamento. Gli stand non vendono quanto a Torino.
Io detesto questa diatriba, come le varie proposte di saloni itineranti o alternanze negli anni, perché la penso come Inge Feltrinelli: in un paese che legge poco più fiere del libro ci sono e meglio si sta. Tutto sommato i due saloni hanno visioni differenti, Milano – evidentemente- mass market e Torino progetto culturale. E quindi, per risolvere la questione, lasciarci la nostra Tempo di libri e risollevare le casse degli editori non resta che caratterizzare ancor più la nostra Tempo di Libri secondo regole tutte milanesi.
E’ così che rientrando dalla fiera ho fatto tra me il gioco dell’allenatore, quello che fanno i maschietti davanti al campo di pallone, evidentemente senza presunzione, a differenza loro, ed io cinque diverse opzioni, al prossimo campionato, le sperimenterei.
1. Lingua. Spiace che a tempo di Libri siano introvabili le edizioni straniere in lingua originale e quelle italiane tradotte in inglese. Certo, lo so che sono titoli di case editrici straniere che non vengono in Fiera, ma qualcosa si può inventare. Milano ha una vocazione internazionale, come ama ripetere il nostro sindaco, anzitutto perché sono tantissimi gli stranieri che risiedono in città, e leggono. Provate ad andare chessò, al Base, per rendervi conto, immediatamente, che negli spazi di coworking non è la lingua italiana che impazza. Ma leggono, o leggerebbero in lingua originale, anche tanti ragazzi italiani, quelli che frequentano scuole internazionali, quelli che si preparano per l’Erasmus, ma anche quelli che seguono sulle piattaforme le serie ed i film in lingua originale. Non è una brillante operazione per ritorno economico? Mah, gettiamo il seme e vediamo cosa accade.
2. Social. Ora, non suggerisco Chiara Ferragni, non servirebbe allo scopo e costerebbe una cifra, ma ci sono tanti profili Instagram che si occupano di eventi e cultura. Si, anche milanomind. Far raccontare l’evento con immagini e storie su Instagram significa diffondere contenuti più delle cronache dei quotidiani. Passando per gli stand e gli incontri ho sentito qualche giudizio sprezzante sull’uso dell’immagine sui device. Non è così. La fotografia social racconta con un linguaggio che se è forse incomprensibile agli intellettuali che non vogliono accostarvisi per paura di perdere la posizione ed è invece diretta ed immediata per i più. Che poi magari il libro lo vanno a comprare, a differenza dell’intellettuale che lo riceve in regalo dalla casa editrice. Non sottovalutiamo la potenza delle comunità che seguendo un profilo si riconoscono nei contenuti che diffonde.
3. Stands. Le case editrici si sono lamentate perché non hanno venduto a sufficienza al lettore. Farsi immediatamente un esame di coscienza. La maggior parte degli stands presentava i soliti best sellers, o comunque le ultime opere in catalogo, peraltro con allestimenti speculari a quelli delle librerie. Ora, sperare che i milanesi paghino il biglietto della fiera solo per acquistare libri che già trovano in libreria significa non aver capito lo spirito di chi va in Fiera. Lo stand se vuole andare in attivo deve presentare altro rispetto alla libreria : percorsi tematici, libri appena rieditati, focalizzazione su libri poco conosciuti- e poco venduti- ma interessanti. La manifestazione deve servire per fare scouting dato che best seller si vendono da soli. Io per prima ho acquistato due libri (oltre ad una foto d’epoca di Pier Paolo Pasolini da regalare alla mia piccola) che mai avrei acquistato in libreria ma che in quel contesto ci stavano bene. La biografia di Marina Ripa di Meana e la storia di Rachele Mussolini raccontata da sua nipote. Se non li avessi trovati li, il giorno della festa della donna, in un piccolo stand che si perdeva tra i big, mai mi sarebbe passato in mente di comprarli. E tagliati, mondati interpretati e velocemente riassunti nelle parti più significative, posso dire che è stata la buona lettura di due epoche storiche del Paese.
4. Booksharing. Chiediamoci perché lo stand che ha vinto, quello più affollato e che più ha venduto è stato quello del Libraccio, libri in sconto e libri usati quasi al chilo, una marea di ragazzi che leggono, ma non sempre hanno le disponibilità economiche di acquistare a prezzo pieno. Allora organizziamo un angolo booksharing, dove scambiare libri. Così, questi benedetti ragazzi, in Fiera ce li portiamo, e vediamo poi cosa succede, magari un giro negli stand a pagamento lo fanno comunque, e sennò abbiamo fatto charity, perché l’occupazione dello spazio di scambio deve essere gratis.
5. Sorprese e coinvolgimento emozionale. Tempo di Libri, quest’anno ha subito la concorrenza del MIA, l’esposione delle più importanti case d’arte della fotografia d’autore e di Cartoomics, tutto quello quello che pensate sia attinente ai cartoons ed anche di più. Sicché idee forti sempre benvenute ed una può essere quella di mettere il lettore al centro dell’evento. Giocando con leggerezza e anche questa volta senza intellettualismi. Trivial pursuit con domande a tema, club di lettura estemporanei, caccia al tesoro con forniture di libri per un anno, gare di argomentazione tra studenti secondo la consuetudine anglofona. Tutto quanto faccia sentire protagonista il lettore. (Insomma, lo spirito del coinvolgimento emozionale fuori dal social)
Ed infine, e non è tra i cinque punti, qualche novità editoriale non guasterebbe, è pur sempre una fiera. E se marzo è un mese fiacco per le nuove uscite, cambiamo stagione. Anche se nel grigio del marzo milanese “tempo di libri” è stato salvifico, certo più di un antidepressivo.