Ma cos’è, forse la rivincita della terza età? Vasco Rossi quota ben 65 anni ed è riuscito a riunire 220mila persone a Modena, 5 milioni e 600 mila spettatori davanti alla TV, oltre a quelli che, beati loro, hanno visto il concerto nei cinema che lo trasmettevano live e senza le interruzioni di Bonolis. Che poi Bonolis è stato bravo, sostenere i tempi “oscurati” di un concerto è davvero una impresa improba e il conduttore non ha sbagliato nulla se non la camicia indossata, che non c’entrava nulla né con lui né con Blasco, ricordando piuttosto Formigoni e il vezzo reiterato di anticipare la scaletta dei brani, che è come spoilerare, capitolo dopo capitolo, un giallo di Agatha Christie.
Più che un concerto, in realtà, è stata una messa cantata. Il pubblico non ascoltava Vasco ma cantava con Vasco, si emozionava con Vasco, trovava il senso con Vasco. Si poteva, quella sera, invertire i ruoli, mettere la gente sul palco a cantare e Vasco in platea a guardarli tutti e l’effetto sarebbe stato lo stesso. Una osmosi, una fusione perfetta in cui Vasco tirava fuori tutto quello che le 220 mila persone avevano da raccontare sulla loro vita, i loro sogni e soprattutto i loro sbagli, le cadute e le risalite, l’amore e la sconfitta, la solitudine e l’incontro.
Vasco ha iniziato a cantare quando la maggior parte di quel pubblico non era ancora nato. Ragazzi che non sanno che nel 1982, quando Vasco cantando “Vado al massimo” comparve sul palco di Sanremo, monopolizzato da Albano e Romina e Riccardo Fogli,”, nulla fu più come prima.
Una rottura col passato come quando Garibaldi unificò il Paese, la Repubblica vinse sulla monarchia, l’Italia vinse i Mondiali. E non per quello che credete voi. Non fu il droghiere, il Messico e le gonfie vele a portare scandalo sul Palcoscenico di Stato. Sarebbe già finito, Vasco, se fosse stato solo questo. Vasco nei primi anni 80 invertì definitivamente la rotta, ed invece di continuare a raccontare l’uomo nella sua dimensione sociale, come facevano i cantautori dell’epoca, ha raccontato l’uomo nella sua individualità legittimandone le debolezze, le fatiche, la incapacità. Ciascuno di noi, in fondo, è un pò un outsider, solo che allora dell’individuo non interessava a nessuno. Gli piacevano solo le masse, a quei tempi.
Ecco. Questo week end ha visto altri over-sessanta salire in platea. Prodi, Pisapia, D’Alema, Bersani, gente che è stata mandata via dai suoi stessi elettori e che approfitta di un momento di grande difficoltà economica e sociale per riprendersi il Palcoscenico dell’Italia. Loro però, a differenza di Vasco, non sono portatori di messaggi universali ed eterni, ma di piccoli interessi di bottega, si fanno pubblicità chiedendo il ripristino dell’articolo 18 anche se non ci sono più fabbriche, e nemmeno posti di lavoro cui applicare la legge.
Stiamo attenti a questi vecchi. I ragazzi sono così fragili che guardano alle generazioni precedenti per cercare protezione. Un istinto naturale, se non fosse che quelli non sono buoni padri, e gli interessi di chi viene dopo di loro non li ha mai fatti. Siamo solo noi lo può dire Vasco, che testimonia con il suo vissuto difficile la verità di quel che canta, non chi gode di laute pensioni e racconta di un mondo che non tornerà mai più. Vasco è Ulisse. Loro sono solo le sirene cattive.