Dolce e Gabbana, se l’Italia fosse una monarchia loro sarebbero la royal couple italiana.
Le ragioni sono tante: belli, caratteriali, Domenico saggio e Stefano discolo, effigiati su tazze e magliette, noti a colpi di Instagram, gossippatissimi, lavorano promuovendo con costanza e dedizione il brand Italia in ogni sua declinazione. Insomma, fanno la stessa cosa di Kate e William per il Regno Unito (non certo Carlo e Camilla, anche se Stefano la parrucca di Camilla la indosserebbe volentieri per le sue stories su Instagram), con la sostanziale differenza che i contribuenti inglesi pagano cara la loro monarchia, mentre gli italiani non spendono un euro.
La cifra dei due stilisti-imprenditori – ecco un’altra nota di merito, il capitale è tutto loro e non hanno venduto, a differenza di tutti gli altri, ai colossi francesi del lusso o a nuovi cinesi- è sempre stata l’arte, la cultura la qualità e la bellezza italiana. Certo un bel volano per i loro interessi economici, dicono i detrattori. Ma se Dolce e Gabbana sono fortunati ad aver potuto usare e rielaborare il genius loci italico, l’Italia è ancor più fortunata ad avere loro.
Veicolare l’immagine di un paese nel mondo e renderlo un’aspirazione di vita attraverso dei prodotti, in un mercato difficile come quello del fashion, in cui domani è già ieri e la novità è l’unico motore, è impresa ardua e comunque unica nel panorama. Ragioniamo: se io compro un brand come Yohji Yamamoto, o Sacai, non è che mi viene immediatamente voglia di partire per il Giappone.
Ma se indosso la maiolica della costiera, il senso della famiglia, l’amore per il cibo, il mare gli animali domestici i vulcani ed i monumenti, la voglia di vivere da italiano mi viene, e quella di visitare l’Italia ancor di più, perché Dolce e Gabbana sono riusciti ad inocularmi un’emozione per l’Italia a cui è necessario dare senso compiuto.
Dolce e Gabbana
E non solo Roma, Milano o Venezia: Dolce e Gabbana hanno invaso Napoli, Bari, Capri, le Eolie e ci hanno ambientato shooting, campagne pubblicitarie e sfilate, immagini che come palline da biliardo sono rimbalzate sul tavolo verde dei social in tutto il mondo, mentre a Palermo gli stilisti aprivano il centro storico e ci portavano, fisicamente, i loro quattrocento migliori clienti.
Altro che il G7 di Taormina.
Eppure.
Eppure per l’Italia Dolce e Gabbana non esistono. Mi spiego. Il Presidente della Repubblica riconosce agli italiani che si sono distinti per meriti di lavoro o verso la Patria alcune onorificenze che in crescendo sono quelle di cavaliere, ufficiale, commendatore, grande ufficiale, cavaliere di gran croce e cavaliere decorato di gran cordone.
Una stupidaggine anacronistica, direte voi? Basta Instagram a riconoscere un valore? Affatto. Il senso di essere Stato sta anche nel premiare chi lo rappresenta nei valori, culturali e produttivi, ed infatti, se scorrete il sito della Presidenza della Repubblica, vi sembrerà di leggere un comunicato della Camera della moda: tutti, dico tutti gli stilisti del made in Italy sono stati insigniti di onorificenze, e la maggior parte ne ha ricevuta più di una. Loro niente. Loro che sfilano solo a Milano, che fanno vacanze tra Portofino e le Eolie, che sono “orgogliosi di essere italiani”. La ragione posso intuirla, e sarebbe in ogni caso sbagliata.
Per fortuna noi siamo una democrazia, possiamo far sentire la nostra voce, siamo fieri di loro, vogliamo almeno una onorificenza con cui decorare Dolce e Gabbana. Anche se se le meriterebbero tutte quante.