Uscita dall’election hangover una riflessione sui risultati di Milano, in netta controtendenza rispetto al resto di Italia, visto che la città, nei tre distretti elettorali del centro, ha votato compatta il PD, che è risultato peraltro il primo partito in città, mentre nel resto di Italia è sceso oltre ogni piu negativa previsione.
Milano si conferma, con questi risultati, la metropoli liberal del paese, al pari di New York negli Stati Uniti e Londra in UK, anche se, attenzione, noi stiamo valutando Milano nella sua dimensione strettamente cittadina e centrale, mentre la città metropolitana che a tutti gli effetti ne fa parte è in linea con il resto del paese.
Nulla di strano, intendiamoci. Noi siamo la città in cui Ambrogio, il funzionario tedesco che a Milano si fece vescovo ma, fortemente critico verso la Chiesa di Roma, costituì un diverso rito liturgico che sopravvive ancor oggi, siamo la città dell’Editto di Ariberto da Intimiano che, come racconta Felice Confalonieri e prima di lui Gianni Brera, disponeva che chiunque arrivasse a Milano e si fosse messo al lavoro sarebbe stato un uomo libero.
Attenzione però, Milano non ha mai votato un partito politico, vota chi è in grado di assicurarle una visione progettuale di ampio respiro. Sennò non ci spiegheremmo il doppio mandato di Albertini, la rinascita della città dopo mani pulite, i progetti di Porta Nuova e City Life, il grande impulso a moda e design, e nemmeno la signora Moratti, che portò in città Expo.
Torniamo ad oggi. Milano è entrata in scia delle metropoli che vivendo di finanza, economia e cultura privilegiano un tipo di voto diverso, orientato verso gli scambi internazionali, aperto al contributo di identità diverse, che incentivi anche economicamente la solidarietà verso le fasce più deboli. Come New York e Londra abbiamo detto, esattamente come queste città che, però, a livello nazionale sono governate rispettivamente da Trump, dalla May e la sua Brexit. Mentre qui ci aspetta un ibrido 5 Stelle e la Lega.
E quindi. Non illudiamoci di poter essere il faro del paese per la rivincita del modello liberal. Milano è sempre di più una città che vive di vita propria e con il resto di Italia non ha nulla a che spartire. Il sindaco Sala ha scritto un libro di oltre 300 pagine che si può riassumere con una sola frase: Milano è il motore di Italia, quindi “bisogna dare alla città ed al suo territorio gli investimenti e gli strumenti che le diano la possibilità e la responsabilità di ottenere quei risultati che possono essere ribaltati positivamente sul paese in termini di occupazione, di prodotto interno, di relazioni e di immagini” (Milano ed il secolo delle città-Giuseppe Sala) Insomma più denaro e più autonomia alla città che vi traina tutti.
E quale milanese non sarebbe d’accordo, sta qui il successo del PD, che è il partito del Sindaco, in città.
Ma queste elezioni ci dicono che il resto d’Italia non vuole Milano grande, vuole restare nella sua terra e ricevere il reddito di cittadinanza, perchè lavoro non ne ha, vuole liberarsi degli extracomunitari, che se per noi sono professori universitari, direttori di musei e grandi investitori per loro sono ragazzi straniati senza famiglia senza lavoro e senza voglia di integrarsi che ciondolano nei paesini, vuole che la pizzeria del paese non sia oberata da vincoli amministrativi e costi eccessivi, che il resto di Italia da Cracco non può cenare, nemmeno se mette da parte un paio di mensilità di stipendio.
Milano ed il resto di Italia sono due rette parallele, ormai, e Milano non è l’Italia, come New York non è l’America.
A questo punto avrei un’idea.
Ripristiniamo le Signorie. Una per ogni squadra di calcio italiana. Facendo salvi i derby, ovviamente.