E’ notte. Le lancette dell’orologio si accarezzano scandendo l’arrivo del nuovo giorno. Non so se sia ancora lunedì o già martedì.
Milano dorme tutta, in giro è vuoto, non si manifestano neanche spacciatori di popper o automobilisti devoti alla nobile arte del puttan-tour.
I lampioni illuminano il pavé delle vie che si intersecano verso il centro come se fossero rami di un innavigato fiume argenteo, neanche i tram cavalcano le onde frastagliate di quel pavè, i suoni che danno un ritmo incalzante ai passi convulsi e spediti dei milanesi che al mattino corrono a fatturare sono muti.
Milano sembra un’altra città in quell’ora che va dalla notte al mattino.
In una piazza poco lontana dal Duomo, però, un vociare incessante suona parossistico nel vuoto, come un’orchestra che introduce l’inizio di un’opera senza spettatori.
Lo scenario, illuminato da calde insegne di night club, è la maestosa decadenza del Grand Hotel Plaza, sotto il quale si apre una altrettanto maestosa porta nera.
La situazione è invitante per chi si assorda solo di silenzio. Tanti ragazzi provenienti da qualsiasi sporco angolo di questo globo si sono radunati tutti in questa piazza, in uno sporco Lunedì notte che è già Martedì, e per di più alcuni offrono anche da bere. Devo entrare.
La porta nera si spalanca ed una calda bufera di chitarre perfettamente scordate e tuonanti batterie ti trascinano dentro a ritmo di sano e puro Rock n’ Roll.Da lì in poi nulla sembra più lo stesso. Scendendo per la stretta e buia scala a chiocciola la musica si fa sempre più penetrante, come anche l’odore di piscio che esce dal bagno all’entrata.
Tutto d’un tratto ti senti catapultato in qualche malconcio bar di Bowery street, New York. E’ buio, a malapena si scorgono le facce degli scatenati, illuminati da una maliziosa luce rossa e strobo provenienti dal palco. Lì, a bordo di una vecchia Shelby nera, il Dj orchestra e ragala il più grande concerto Rock della storia, accompagnato dalle scale impossibili di Clapton, dalle urla di disperazione di Axl, dai salti di Jagger e le chitarre spaccate a terra da Kurt, dai suoni più orientali dei Fab Four e dagli orgasmi di Janis, e tanti, tantissimi altri.
E tutti, attorno a queste divinità ballano spensierati e scatenati e bevuti e divertiti, noncuranti del fatto che dopo poche ore la città si sveglierà e quei suoni cesseranno, e non resterà che girovagare, come le pietre rotolanti che prima suonavano, nell’alba milanese.
Queste cose non si dovrebbero fare nella notte di uno sporco lunedì, ma a Milano tutto si può fare, basta una tachipirina per affrontare le luci del martedì