Dal sistema di tassazione virtuosa di Maria Teresa d’Austria, che ha inseminato Milano con l’etica del lavoro ed ha fatto da volano alla sua economia, alla costruzione di una nuova disciplina organica ed universale dei saperi. Expo ha catalizzato energie e fatto convergere idee ed eccellenze, ma il lavoro più importante arriva ora.
Siamo andati ad incontrare Luciano Galimberti, Presidente dell’ADI, Associazione per il Disegno Industriale, nella sede milanese di via Bramante, guidati dal carissimo amico, designer e pensatore Stefano Anfossi, che come un novello Virgilio ci fa da guida e tramite per meglio comprendere il ruolo del design nei mutamenti della città, della cultura e del futuro.
Stefano mi guida in un grande cortile che una volta doveva essere il centro di una fabbrica ed ora ospita una brulicante umanità fatta di artigiani, professionisti e piccole imprese. In fondo troviamo la sede di ADI, che nella sua semplicità esprime una sofisticata eleganza: un montacarichi ci porta al piano dove Galimberti ci attende sorridente e ci conduce in sala riunioni, superando una teoria infinita di scaffali colmi di lavori e riviste che raccontano la storia del design moderno e contemporaneo.
Entriamo subito in tema: come vedi da qui Milano, e che ruolo ha il design industriale?
LG Ti racconto un fatto vero che esemplifica il processo di trasformazione dell’identità della città: durante il Salone del mobile ho incontrato una mia amica di Shangai che mi dice di essersi trasferita a Milano. Alla mia richiesta di dove abitasse esattamente in città, mi ha risposto … a Cremona. Voglio dire che Milano è riuscita a crearsi un’identità chiara che va oltre il tessuto urbano attraverso l’ampliamento della massa critica, ed a coinvolgere le eccellenze un ruolo essenziale lo ha giocato Expo. Il design in questo scenario fa parte delle eccellenze della milanesità, la matrice culturale è qui anche se il movimento è nazionale.
Quindi l’associazione che presiedi ha più ruoli: culturale, filosofico, tecnico?
LG ADI è una piattaforma attorno alla quale si riconoscono utilità collettive, perché il design è un sistema complesso di relazioni. Il Compasso d’oro nasce negli anni 50 in Rinascente, quando un privato che svolge un’attività commerciale si fa carico del ruolo di educatore al miglioramento della fruizione di un consumo. Con l’idea precisa che il design potesse portare ad un complessivo miglioramento della qualità della vita nella società.
Data questa premessa, devo ammettere che vi è anche stata una stagione meno brillante, in cui il design è stato solo strumento di marketing, dunque la focalizzazione è stata solo sul cosa e sul come, ora sta tornando il focus sul perché.
Che linea strategica vuoi indicare?
LG Etica, estetica e tecnica questa è la linea: rimettere in fila gli addendi di una somma senza saltare passaggi. E’ dunque necessario stabilire un modello culturale di riferimento, su cui costruire un modello organizzativo e dunque economico.
SA La cultura è la materia prima fondamentale per il design.
E noi italiani in questo sistema dove ci collochiamo?
LG La specificità del design italiano non si chiude nella forma, ma sta nella sua tensione alla progettazione delle relazioni umane; diversamente il design tedesco come quello americano sono monolitici, con continuità di pensiero e di coerenza estetica.
SA Noi siamo come il nostro territorio, complessità e ricchezza di stili e paesaggi. Noi abbiamo contenuti omogenei con diversi linguaggi espressivi. E’ un’identità pensata per la gioia dell’uomo se si riconosce che l’uomo è fatto di sogni e bisogni.
Sappiamo insegnare ai ragazzi tutto questo?
Nel ranking internazionale le Università italiane di design sono ai primi posti, sia per le tecniche con le quali trasferiamo il sapere, sia per le modalità di ragionamento che porta ad approcci tecnici. Quindi assolutamente sì.
Parliamo del Compasso d’oro: si fa sperimentazione o è l’ennesimo sistema autoreferenziale?
LG Con i primi Compasso d’oro si era registrata una staticità, poiché il premio era diventato appannaggio di poche aziende di successo; ora è indiscutibilmente un metro di qualità per l’eccellenza. Sono stati attribuiti 320 compassi d’oro in 60 anni, il premio è biennale ed ha due filoni: quello italiano più generalista dedicato all’ampliamento degli ambiti tematici del design ed al miglioramento di tutti gli ambiti della vita. Quello internazionale, dedicato all’analisi verticale della filiera che sta attorno ad un tema.
E la sperimentazione che stai innestando nel Compasso d’Oro?
LG Il futuro è l’ampliamento delle competenze che stanno attorno a questo sistema: stiamo inserendo esperti di neuroscienze e studiosi di religione nella giuria del Compasso, per implementare il pensiero laterale. Data la complessità dello scenario il punto d’arrivo deve essere la visione sistemica del sapere e il design ha la possibilità di costruire il paradigma riconosciuto da tutti, formalizzando il pensiero ed il linguaggio.
SA sintetizzerei così: tecnica, atteggiamento antropologico, progettualità dedicata al miglioramento degli stili di vita, perché l’immaginazione porta l’uomo ad andare oltre il proprio limite biologico.
Torniamo a parlare di Milano e proviamo ad applicare questo metodo. Cosa succede?
LG E’ necessario indagare le origini per trovare il perché nel futuro: il primo salto quantico è stato fatto con Maria Teresa d’Austria che a Milano tassò le rendite terriere infruttuose e ferme, valorizzando il lavoro. Non fu il catasto a creare l’etica del lavoro milanese, ma la scelta di premiare attraverso una regime illuminato di tassazione la produttività.
Ma il design industriale è davvero al centro di questo nucleo di competenze?
LG Il ruolo del design va intesto come conduttore di una politica alta nel dialogo con gli altri saperi. I movimenti aggregativi fanno parte di un sistema complesso: la città deve avere un sistema di regole che modifichi le condizioni d’uso. L’urbanistica è un’utopia che ha fallito: l’uomo crea dei modelli perché pretende di controllare i flussi.
SA Le Corbusier divideva la città in funzioni: la fisica subatomica insegna invece che la realtà è un sistema di relazioni e la città non sfugge a questa regola.
Per trovare le linee guida è necessario portare al tavolo tutte le competenze andando oltre la multidisciplinarità. Va creata una funzione relazionale che porti ad una fusione di discipline da cui si ottenga una competenza organica. Assistiamo al fallimento del sistema positivista, ma Milano ha superato il problema lavorando sul proprio DNA inclusivo.
Mi cito: questa visione è molto milanomind?
SA Milano è una città semplice dal punto di vista del disegno: l’imago mundi pone una chiesa al centro, dei cerchi e dei rami che tendono all’esterno. E’ chiara la potenza del simbolo e l’identità nasce dal simbolo stesso. La capacità di visione, la riconoscibilità e l’appartenenza nascono dal livello percettivo insito in questo disegno che, non avendo barriere, facilità un’insieme di relazioni umane.Ecco il nuovo salto quantico: concentrazione dei saperi, sperimentazione quotidiana tesa alla formazione di una competenza organica, con funzioni universali. A Milano si sta preparando qualcosa di davvero importante.