Con questa, sono all’ultima narrazione sul Fuorisalone. La mia cronaca è stata davvero parziale, vi avrò raccontato l’un per cento di ciò che ho visto e di ciò che non sono riuscita a vedere. Ecco, il limite di questo Fuorisalone è stato l’eccesso, e come sapete a noi le contraddizioni dovrebbero piacere. Ma in questo caso no. Il Fuorisalone ha espresso contenuti che avrebbero riempito un anno intero di esposizione, e francamente è stato tutto troppo perché ci ha lasciato il rimpianto delle cose non viste, o viste male. Certo, c’era anche tanto niente, come l’esposizione di bassa mercanzia al NOW di Tortona, mischiata a nicchie di valore assoluto, come l’esposizione di carte da parati di N.O.W. di Piero Gaeta e Stefania Nicolini, una eccellenza di altissimo valore artistico made in Italy, e questo ha complicato ancor più le cose. Quindi l’anno prossimo, ci auguriamo, meno esposizione e maggiore selezione.
Chiudo raccontandovi una bizzarra riflessione sulla più bella installazione del Fuorisalone, quella nei cortili della Statale in via Festa del Perdono. All’apertura mattutina, sullo slargo, molte famiglie già varcavano l’ingresso: il Fuorisalone è sempre stato, fin dalle origini, un posto per bambini. Tutto nasce dal fatto che negli anni ottanta, quando i giovani designer iniziarono ad organizzare le mostre nei giorni del Salone per farsi notare, spiantati e senza genitori in città, si tiravano dietro per necessità i figli ancora piccini. I bambini, con il loro approccio ludico e senza filtri finivano per giocare con i prodotti che poi avrebbero avuto successo, sicché sono divenuti le mascotte del Salone. Non vedrete mai rimproverare un bimbo in questi giorni, a meno che non tenti di distruggere la installazione.
Ora, nel cortile della Statale l’occhio mi è caduto, immediatamente, su un cilindro di ghisa di Ron Arad per Illy, che si sviluppa in altezza con una prima parte rigida e, a seguire, un braccio semovente, che termina in una punta protesa verso il basso. Ora, puoi guardarlo e riguardarlo, ma il movimento del braccio che sale e scende ti farà pensare ad un pene che va in erezione e quindi, espletata la funzione, discende mestamente verso il basso.
Se la mente si formatta sul doppio senso, il resto vien da sé. E quindi ti chiedi se il mega rossetto di Sephora, con il cappuccio del contenitore abbandonato in fianco, che si erge in tutta la sua rossa maestosità contro i portici del quattrocento, non sia sempre lo stesso pene rappresentato nel momento di massima resa, e guardi con occhio critico gli osceni gorilla tutti neri che impugnano una luce nella zampona protesa in orizzontale, che nel progetto originario sarebbero solo delle lampada da terra in polietilene con il braccio proiettore orientabile.
La malizia sta solo negli occhi di guarda? Per fortuna che l’innocenza dei bambini ti riporta alla realtà.