La capsule di borse “Maestri”, nata dalla collaborazione di Louis Vuitton e Jeff Koons non è ancora in vendita nei negozi monomarca – anche se sono aperte le prenotazioni- ma ha già scatenato un feroce dibattito. L’operazione di Koons è sommariamente semplice: prendere alcuni capolavori su tela come La Gioconda di Leonardo, Marte, Venere e Amore di Tiziano, Campo di grano con cipressi di Van Gogh, Caccia alla tigre di Rubens, Ragazza che gioca col cane di Fragonard e stamparli su alcuni modelli iconici di borse di Vuitton, con il nome dell’artista in scritto a lettere maiuscole sull’opera, quasi a farne un marchio.
La prima domanda è immediata: è lecito appropriarsi di un’opera d’arte e stamparla sul proprio prodotto? In questo caso la risposta è affermativa, nella misura in cui i capolavori usati da Koons fanno parte del patrimonio culturale dell’umanità. Se non possiamo impedire di stampare il sole su una borsetta, come potremmo farlo per La Gioconda, che come il sole appartiene a tutti noi?
La seconda è più complessa. Mercificare i massimi capolavori dell’arte per il profitto di una multinazionale francese è solo vile denaro o coraggiosa impresa culturale?
A tal proposito Koons ha parlato, in conferenza stampa, del suo intervento come sommo tributo di venerazione verso le forme più alte di arte, e fin qui è apprezzabile. Non lo è, invece, quando dichiara di voler dare street credibility alle opere dei sommi maestri. Il percorso della strada verso il museo ha costituito negli ultimi decenni il più grande contributo all’arte moderna. Ma il museo non ha bisogno di spostarsi in strada per accrescere il proprio prestigio. Il basso che va verso l’alto è successo, ma se l’alto precipita in basso, ci dice la saggezza popolare, è sconfitta.
Koons, non ti allargare. Genio si, Leonardo non ancora. Vuitton avrà pur concesso a Koons, per la prima volta nella storia del marchio, di modificare il suo monogramma con le sue iniziali, così riconoscendo all’artista una valenza assoluta, ma la credibility dei grandi Maestri non la può dettare più nessuno.
Torniamo al tema operazione culturale o economica. A noi piacciono le contraddizioni, ma soprattutto aborriamo l’ipocrisia: la verità che ci piaccia o no è che Vuitton avrebbe potuto far stampare qualunque cosa sulle sue borse, creando una capsule ad hoc, e la gente sarebbe comunque corsa ad acquistare una serie limitata. Si compra l’emozione del marchio, non il prodotto, sennò nessuno spenderebbe migliaia di euro per una borsa. Ora se l’emozione del marchio, con una operazione culturale seppur un pò banale come stampare capolavori sulla tela di una shopping bag, riesce a veicolare l’aspirazione ad essere persone migliori, perché stimola la curiosità verso l’arte, l’operazione deve essere accolta con il massimo favore. Koons dice che l’arte modifica la genetica dell’essere umano, e su questo tema torneremo perché lo condividiamo pienamente. Quindi per noi l’operazione è positiva per tutti, perché il guadagno spinge la veicolazione del messaggio culturale.
C’è solo una piccola ma significativa nota stonata nell’operazione, per cui Vuitton e Koons dovrebbero fare ammenda. La sigla “Titian” sul capolavoro Venere, Marte e Amore. Titian non esiste; c’è un pittore veneziano del cinquecento italiano ma si chiama Tiziano.