Non ho bisogno di partecipare ad un pic-nic multietnico al Parco Sempione per definire il mio rapporto con le comunità non italiane che vivono a Milano. Due cose sole ho indispensabili e care al mondo, e sono le mie figlie. Ed ho affidato entrambe, già da quando avevano ancora poche settimane, a ragazze straniere, orientali o sudamericane, perche dovevo studiare o lavorare. Loro hanno cucinato per me ed io per loro (meglio quando erano loro ai fornelli) ed abbiamo pranzato quotidianamente alla medesima tavola, loro hanno importato tradizioni di massaggi e ninne nanne e ed io ho fatto da madrina al battesimo dei loro figli. Ma anche io ho fatto io da baby sitter ai loro figli quando erano in coda per il permesso di soggiorno, e sono pesantemente intervenuta quando la figlia maggiore di una di loro era stata cacciata da casa dal papà perché scoperta innamorata di un’altra ragazza.
Vogliamo metterci tutto? Ho anche commesso alcuni illeciti: ho tenuto in casa sei mesi una ragazza clandestina in attesa che completasse le pratiche per il suo ingresso regolare in Italia, ho dichiarato di avere in custodia una figlia arrivata dal paese di origine per una vacanza che invece era beatamente con la sua mamma, perché per qualche strana ragione non gliela affidavano, ho dichiarato all’anagrafe come domiciliata da me una donna la cui casa non aveva capienza abitativa per le troppe persone che erano stipate lì dentro. Tutte le ragazze extracomunitarie che hanno lavorato per me, nel corso di questi 30 anni, hanno avuto un mazzo di chiavi della mia casa ed il codice dell’antifurto. Ho prestato loro, sempre, assistenza legale gratuita.
Sicchè non ho bisogno di avere la patente di brava cittadina dal sindaco o dall’assessore, né quella di brava cattolica dall’arcivescovo per dire quello che penso sulla questione dei migranti, e non accetto di sentirmi cattiva se parlo con la ragione e non con il cuore.
Ci sono due tipologie di migranti che arrivano con i barconi sulle nostre coste. I profughi che scappano dalle guerre, solitamente in gruppi familiari, e i migranti economici, quelli che cercano lavoro. I primi dobbiamo accoglierli, i secondi toccano il suolo italiano da clandestini e dovrebbero essere rimpatriati, solo che è un’operazione impossibile perché arrivando in questo modo non hanno documenti e non si conosce nè il loro nome nè lo stato di provenienza. E quindi restano in Italia.
Sono anni che i migranti economici approdano sulle nostre coste, li abbiamo sempre accolti, finchè il resto d’Europa, così brava ad abbaiarci dietro, ha deciso che nei loro paesi non sarebbero più entrati. Gli altri stati si che hanno chiuso da tempo frontiere e porti. E così facendo hanno creato un tappo, per cui i migranti economici restano inevitabilmente in Italia.
Ora io vi chiedo, abbiamo lavoro da offrire a tutti? No. I migranti sono raccolti nei centri di accoglienza, dove chi li ospita ci guadagna offrendo loro condizioni abitative pessime e cibi preconfezionati, e trascorrono le loro giornate vagabondando, nella migliore delle ipotesi, o finendo nelle organizzazioni di bassa criminalità, dallo spaccio di droga alla vendita delle merci contraffatte.
E non mi si dica che negli altri paesi ci sono più extracomunitari che in Italia. I paesi come la Francia, la Gran Bretagna hanno ospitato gioco forza gli abitanti delle loro ex colonie, persone quindi che parlavano la loro lingua, conoscevano le loro leggi ed avevano già una parte del nucleo familiare che provvedeva a loro mentre cercavano una occupazione. Ma è stato anche quello un fallimento, tanto che il buon Macron ha appena deciso di disinteressarsi delle banlieu, bocciando qualche giorno fa l’ennesimo tentativo di sostegno e recupero, con un sostanziale “si arrangiassero”, e la Brexit ha così tanto serrato le porte agli stranieri che è diventato ormai impossibile per i ragazzi europei spostarsi a Londra per fare un lavoretto estivo ed imparare la lingua.
Torniamo a noi. Vogliamo quindi che l’Italia diventi un hub dove si riversi il continente africano mentre il resto dell’Europa se ne lava le mani e blinda le frontiere? Non dico di no, può essere un scelta. Allora facciamo così: chi sostiene questo programma metta mano al portafoglio, e ciascuno dimezzi la sua retribuzione per un programma che consenta ai migranti di vivere decentemente e dignitosamente. Perchè magari, il contributo che ci passa l’Europa più quello che ci mette l’Italia per sostenere queste organizzazioni di accoglienza, noi potremmo devolverlo in programmi a sostegno delle imprese italiane, che così rifioriscono, si sviluppano e magari tra dieci anni saranno in grado di offrire lavoro a questi ragazzi clandestini. Ma ci vogliono dieci anni, ipotizzo, o forse più, e nel frattempo che l’Italia prova a ripartire questi ragazzi li manteniamo tutti noi, quelli illuminati e con il cuore buono, ma solo noi che un giorno sì e l’altro pure strilliamo contro la crudeltà e la malvagità di chi ha deciso di chiudere i porti. Chi va al supermercato con il denaro contato al centesimo, per favore, lasciamolo in pace.
Una sola cosa ho imparato dal mio esame di economia politica, ed è che l’offerta la fa la domanda. Gli italiani sempre più numerosi che sostengono il governo sono quelli che avevano dato il voto compatti al PD di Renzi, un paio di anni fa. La gente non è stupida, cari i miei cuori buoni, e non si fa facilmente impressionare da quel che dice Salvini. E’ la sinistra, in ogni sua accezione, ottusa ed incapace ormai da decenni, che ha consegnato il popolo ai populisti. La storia si ripete sempre.
Quindi troviamoci, questa volta si, al Parco Sempione, e vediamo in quanti siamo a metter mano al personale portafoglio già ridotto da tasse e crisi per sostenere i migranti, intanto che l’Italia tenta una ripresa. Secondo me saranno in pochi, io sono onesta intellettualmente e lo dico, non credo di esserci. E no, non ho mai votato nè Lega nè 5 stelle. E si, io mi chiamo Raffaella Fortunato, ed un volta ero di sinistra. E faccio anche l’avvocato, che tanto si è capito. Perché posso decidere di non metterci la faccia, ma se faccio certe considerazioni il nome ce lo devo mettere per forza.