Cosa accada a Milano a Sant’Ambrogio, il ponte a più alto tasso di fuga per noi che ci viviamo, era una domanda che mi sono sempre fatta. Quindi abbandonata la family al suo destino vacanziero ho deciso di rimanere in città e gironzolare senza meta, chissà che capisca qualcosa di più della mia amata Milano.
Che poi attenzione, non tutti i milanesi sono fuggiti. I commercianti, ad esempio, tutti qui a tenere aperti i loro negozi. Non mi riferisco, ovviamente, alle grandi catene commerciali, ma ai piccoli negozi, alle boutique, agli alimentari. Non un esercizio chiuso anche se, a dire il vero, sostanzialmente tutti deserti. Ma loro indefessi, sorriso e disponibilità fino alla tigna, non hanno mollato. Io li adoro, sono una delle architravi della città. Magari non hanno pagato i commessi e si sono messi in gioco personalmente, perché sanno che le tredicesime sono ancora lontane ed il guadagno in questi giorni è ancora risibile, ma nessuno che abbia mollato. La gente guarda, magari tornerà, qualche acquisto si strappa comunque e poi fa brutto chiudere in questi giorni di festa. Ecco, loro sono l’archetipo del milanese che ci prova sempre, sono davvero molto fiera di loro.
I visitatori, i turisti, senza i milanesi a passo di corsa a creare intralci e rischiare incidenti pedonali, hanno preso placidamente pieno possesso della città. Non solo stranieri, anzi soprattutto italiani. Una babele di accenti, un entusiasmo contagioso verso quello che a noi è consueto, li ho visti proprio felici di essere qui. Secondo me, tanti, hanno raggiunto i familiari che lavorano a Milano, perché nei piccoli branchi c’era sempre una guida che spiegava, avanzando tra la folla per fortuna senza stendardo ed ombrello, tanto cari alle comitive orientali. Ho capito, vedendoli, quanto Milano significhi per il resto di Italia. Siamo una speranza, un eden raggiungibile, la promessa che può esserci un futuro senza dover necessariamente espatriare.
Ho capito anche quanto è diventata bella, Milano. In fondo siamo l’unica città che ha coltivato ambizioni verticali, con City Life e Porta Nuova, e quando l’uomo riesce ad arrivare sempre più in alto è un buon segno per tutti. Ho capito anche, con tutti quei turisti che spesso mi impedivano il passaggio, che Milano è finalmente uscita da quella visione ottocentesca della città bella ma nascosta, all’ombra dei cortili serrati dai portoni. Il bello in città è ormai diffuso, esposto ed alla portata di tutti, condivisibile nello sguardo e nelle emozioni. E credo che anche noi milanesi si sia cambiati con la città. Anche noi più aperti, più disponibili ad incontri fugaci con il prossimo alla fermata di un tram. Milano è diventata social, su Instagram e per strada, e chi lo capirà per primo avrà più successo degli altri. Ecco, lo vedete come siamo fatti noi qui, pronti a ragionare e discutere sui massimi sistemi, salvo ricondurre sempre tutto ad una cosa soltanto, il business. In questo no, non siamo cambiati.
Cosa ci manca, ancora? Un salto maggiore di qualità, nell’offerta natalizia di Milano. Certo, Milano si distingue per un’offerta culturale fantastica, ve ne ho parlato e ve ne parlerò ancora, c’è la possibilità di pattinare ai Bagni Misteriosi che sono diventati una meravigliosa lastra ghiacciata immersa in una bolla senza tempo, c’è la festa per i 60 anni di Esselunga, una mostra strepitosa, divertente, e ve la racconterò in ogni particolare. Ma c’è una nota stonata. I mercatini di Natale.
Suo punto confesso di non essere oggettiva, perché io non amo i mercatini di Natale avulsi da un adeguato contesto, che per me è esclusivamente un paesaggio nevoso e montanaro. In altre parole, aborrisco quelle simpatiche casette -chalet, in truciolato di bassa qualità che dovrebbero creare la caratteristica atmosfera “Christmas style” ma che si risolvono ad offrire merce dozzinale e di scarsa qualità. Oltre a quello che oggi chiamiamo street food, ma senza la magia di un cibo da strada legato al territorio.
E qui sta il punto. Dobbiamo necessariamente avere le bancarelle natalizie? Si, anche Parigi ne è piena, e la loro Defence sta a piazza Gae Aulenti, come Notre Dame al Duomo ( spero apprezziate l’onesta intellettuale di aver riconosciuto che anche a Parigi ci sono i mercatini) ma allora, se il mercatino natalizio è un valore civile a cui non si può abiurare, proponiamo almeno qualcosa di diverso. Cosa sappiamo fare noi a Milano? Mobili, oggetti di design, abiti, gioielli, arte e cucina concettuale. Ideamo un modello di ricovero un pò più stiloso, che ben si adatti alla capitale mondiale del design, e diamoli in comodato, gratuito o simbolico, a giovani creativi che ci vendano le loro creazioni, preparino da mangiare, o cantando e recitando si mettano in evidenza. E lasciamo una volta e per tutte l’artigianato in Fiera, dove mi dicono funzioni davvero bene. E dove nessuno si sente obbligato a montare chalet con il tetto spiovente, perché al coperto non nevica.