Milano – fashion – night sono tre parole che, prese individualmente, hanno un peso specifico importante, se poi le leghi tra loro ti aspetti una sintesi di gran lunga diversa da quella vista ieri sera nel quadrilatero della moda.
Milano fashion night sarebbe dovuta essere una festa per la città ma si è risolta in qualche dj set senza qualità, il pasticciere che fa i dolci a forma di borsa, la influencer di quarta categoria, per non parlare di Camicissima in Piazza San Babila che, senza alcuna censura da parte degli organizzatori, ha messo in vetrina a dimenarsi la solita ragazzotta seminuda e demotivata. Spettacoli triviali che speravamo di esserci lasciati definitivamente alle spalle.
Si, hanno organizzato alcuni dibattiti, che non hanno aggiunto nulla a quel che sappiamo aperto, c’erano un paio di eventi interessanti ma non erano aperti al pubblico, gli stores che hanno aderito all’iniziativa benefica erano pochissimi e con prodotti – tranne quello dell’argentiere Raspini- davvero modesti.
I brand più significativi per Milano, Prada e Dolce e Gabbana ad esempio, hanno addirittura buttato giù le saracinesche alle 19,30, come a dire che l’evento non meritava nemmeno i pochi euro di straordinario da riconoscere ai dipendenti. Il concerto sulla Terrazza in piazza Duomo è piaciuto a chi è riuscito a superare le ormai inevitabili barriere di sicurezza, ma anche questa iniziativa sembrava decontestualizzata rispetto ad un progetto che avrebbe dovuto festeggiare il forte connubio tra la moda e la città.
E poi non c’era grande pubblico in strada come gli altri anni, begli abiti, stranieri, persone eccentriche ed interessanti, ma solo, in Corso Vittorio Emanuele tanti ragazzini da struscio della domenica pomeriggio e qualche signora un pò agée in cerca di omaggi. Il quadrilatero abbastanza deserto. Una veloce ricerca su Instagram forniva la soluzione: chi deve pensare alla città si era ritrovata all’inaugurazione della mostra su Sottsass in Triennale o al museo della Scala per la Callas.
Un evento non riuscito capita, per carità, ma se l’organizza un colosso come Vogue, che immagini sia Vangelo per il fashion milanese, e si risolve in così poco, delle domande devi fartele. Sulla città, sulla incapacità di fare sistema, sul provincialismo, sulla netta cesura tra vip e popolo bue, salvo poi che è proprio quel popolo a sostenere “le eccellenze della moda” con l’acquisto dei prodotti basic, come le sneakers e le t-shirt logate.
Io non credo che il successo di una città dipenda dal numero di eventi che riesce ad organizzare, ma ben vengano tutti. Il problema è che se però gli eventi non riescono, se non hanno risonanza sui social, se non fanno bellezza, interesse e cultura diffuse allora producono l’effetto contrario. Sviliscono la città, la riportano al passato, la chiudono in un mood da fiera che è tanto pittoresco nei borghi, ma fa venire i brividi nella metropoli. Milano è un brand a sua volta è così si svilisce.
Nulla era bello ieri, se non la città accesa da una luce post temporale.