Oggi vi racconto di un processo che non vede imputati politici o imprenditori ma che è ancora più significativo perché vede imputata una donna, Silvia Pasotto, nelle cui condizioni potrebbe finire ciascuno di noi, se solo la vita decidesse di girare al contrario.
Silvia Pasotto è un medico dipendente del Sert di 63 anni che, vedova e senza figli, si dedica esclusivamente alla cura ed alla assistenza della madre gravemente disabile di 82 anni in una casa popolare alla periferia di Milano. Una sera come tante prepara un mix letale di alcol e psicofarmaci e lo ingerisce insieme a lei. La mamma muore, Silvia si salva dopo un periodo di cure in ospedale e, quando esce, viene spedita direttamente nel carcere di San Vittore con l’accusa di omicidio volontario.
Le indagini raccontano di una vita di reclusione in simbiosi ed a servizio della malattia gravemente invalidante della madre, di una casa in disordine, sporca, ingombra di immondizie e cianfrusaglie, della solitudine e della depressione in cui era sprofondata Silvia e della feroce determinazione con cui la madre chiedeva alla figlia medico di porre fine alla sua vita di sofferenza. Silvia accetta di aiutare la madre, ma decide di morire anche lei. Una storia da tragedia greca, se non fosse avvenuta nella civile Milano del secondo millennio dopo Cristo.
Invece, una volta dimessa dall’ospedale, Silvia Pasotto viene portata a San Vittore, come una qualsiasi delinquente, e quindi processata per omicidio volontario della madre. La PM Giovanna Cavalleri chiede per lei la condanna a ben 14 anni di reclusione perché, dice nella sua requisitoria, avrebbe ammazzato sua madre in base ad una sua scelta opportunistica, perché provava insofferenza nei suoi confronti. La sua condizione di sofferenza reale, solitudine, prostrazione, plagio da parte della madre che cercava la morte? Solo una eventuale attenuante da codice di procedura penale, compensata magari dall’aggravante di essere un medico e di aver posto fine alla vita di un congiunto.
Peccato che Silvia, volesse morire anche lei.
E’ andata a finire che la Corte d’Assise ha rigettato le disumane e spietate richieste del Pubblico Ministero, derubricando il reato di omicidio volontario nel meno grave reato di aiuto al suicidio e ha condannato Silvia a “soli” 4 anni di reclusione.
Allora. Chi è il colpevole e di cosa. Silvia che ha preparato le medicine per il suicidio della madre, la madre che ha evidentemente piegato la volontà della figlia fino ad ottenere addirittura che la stessa Silvia volesse procurarsi la morte o quella parte di comunità che, potendo, non si è mai resa conto della solitudine, del degrado psicologico, della prostrazione in cui erano finite madre e figlia?
Io so per certo che Silvia Pasotto non solo è innocente, ma è l’unica vera vittima di questa storia e posto che gli altri protagonisti a processo non ci possono andare il Tribunale dovrebbe limitarsi a dichiarare la colpevolezza di una vita infame e l’augurio che Silvia possa riscattare la sua vita. Ma il codice di procedura penale non prevede la pronuncia di misericordia, anche se amministra la giustizia nel nome di noi, essere umani.